domenica 1 ottobre 2017

Introduzione alle teorie educative, Emile e Candide


L'influenza degli altri

Relazione educativa: il rapporto che si crea all’interno del processo formativo tra docenti e allievi e che infuenza il rapporto tra gli studenti all’interno del gruppo-classe (e ne è a sua volta infuenzato).

Interazione sociale occasionale: incontrarsi in un parco, alla fermata di un bus...

Interazione sociale stabile: un contesto che diviene abitudinario, quotidiano, in base ad accordo o scelta, gusto, condivisione di valori... un esempio è la scuola

Relazioni sociali: in ogni relazione, anche quella educativa, siamo investiti da aspettative, attese, richieste che condizionano il nostro comportamento. La società sia nella relazione sociale sia nella comunicazione sociale (che si sviluppa attraverso i mass media)

Comunicazione verbale e non verbale: può svilupparsi in forme confittuali o collaborative; è costituita da componenti esplicite e componenti inconsapevoli; si radica in un contesto dal quale è infuenzata e che a sua volta infuenza

L'Emile di Rousseau e il Candide di Voltaire



Il flosofo e pedagogista Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) ha sostenuto che l’educazione deve essere fnalizzata a rimuovere i condizionamenti sociali per permettere uno sviluppo libero e spontaneo del bambino (posizione nota come puerocentrismo).
Secondo Rousseau, infatti, la società è una realtà degradata che trascina con sé gli individui, corrompendone la natura, che è invece buona. Per rigenerare l’uomo, è necessario percorrere due strade: la profonda modifcazione delle istituzioni (che è il tema del Contratto sociale) e una nuova forma di educazione. Questo secondo aspetto è espresso nell’opera intitolata Emilio o dell’educazione (1762). Rousseau immagina un’educazione nella quale il bambino non riceve condizionamenti o stimoli da parte del maestro, ma cresce sperimentando in quasi totale autonomia. A questo scopo l’ambiente circostante non deve imporre alcun condizionamento. Rousseau suggerisce quindi un ambiente neutro o la campagna, mentre sconsiglia la città.
Emilio, il protagonista del libro, non frequenta una scuola istituzionale e non segue ritmi e tempi 
imposti dall’esterno, ma segue i propri tempi naturali di maturazione. La fgura del maestro non 
scompare, ma il ruolo che svolge nell’educazione di Emilio è quello di suggeritore, creando le occasioni perché l’allievo scopra da solo le verità naturali e morali. L’educazione di Emilio non contempla né divieti né lezioni pedanti. È l’esperienza, invece, a svolgere un ruolo fondamentale. Rousseau, inoltre, descrive quattro fasi dell’educazione, che dipendono dall’età del fanciullo e dallo sviluppo delle sue facoltà. In questo modo non sarà l’allievo ad adattarsi all’educazione, ma sarà l’educazione a essere commisurata alla crescita dell’allievo.



François-Marie Arouet, meglio noto come Voltaire (1694-1778), scrive una delle sue opere più note, il Candide, o dell’ottimismo, nel 1759; la circostanza storica determinante è il devastante terremoto di Lisbona del 1 novembre 1755. Nel Candido, con acuta ironia, Voltaire riblata le teorie ottimistiche di stampo metafisico sulla vita umana. Il Candide, a metà strada tra un racconto filosofico e un romanzo di viaggio e di formazione, vuole appunto criticare, secondo i principi della ragione illuministica, la massima ottimistica per cui “tutto è bene”. Candido è un giovane piuttosto ingenuo e buono di cuore che vive in Vestfalia nel castello del barone Thunder-Ten Tronckht; il ragazzo compie i suoi studi con la bella figlia del barone, Cunegonda, sotto le cure del precettore Pangloss, (dal greco pan, “tutto” e glossa, “lingua”) che insegna ai due giovani la dottrina per cui tutte le cose del mondo reale vanno “nel migliore dei modi nel migliore dei mondi possibili”
Mentre Candido nutre un amore puramente platonico per Cunegonda, la ragazza prende l’iniziativa baciando il protagonista dietro un paravento, dopo aver visto Pangloss intrattenersi con una serva del castello dietro un cespuglio. Sfortunatamente, il barone scopre i due giovani e, accusando Candido d’aver sedotto sua figlia, lo caccia in malo modo dalle sue proprietà. Il giovane inizia dunque a peregrinare per il mondo: è prima arruolato a forza nell’esercito di Federico II di Prussia (1712-1786) e poi coinvolto nella guerra tra Bulgari e Avari (dietro cui Voltaire allude alle guerre tra Prussia e Francia). Il castello del barone viene raso al suolo, e la bella Cunegonda è data per morta. Candido fugge in Olanda, ospitato da un medico anabattista buono e tollerante; qui ritrova Pangloss, sfigurato dalla sifilide, con il quale si imbarca per Lisbona. La nave fa tuttavia naufragio (in cui l’anabattista muore). A Lisbona, dopo il drammatico terremoto, scende i campo la Santa Inquisizione, alla ricerca di alcuni capri espiatori per la tragedia appena verificatasi: Pangloss viene condannato all’impiccagione, mentre Candido è torturato con la fustigazione. Il giovane viene però salvato provvidenzialmente da una vecchia, che in realtà agisce per conto di Cunegonda; la ragazza infatti è ancora viva e si trova a Lisbona contesa tra un ebreo, don Issacar, e il gran Inquisitore. Dopo che Candido ha ucciso i due rivali, i protagonisti e la vecchia fuggono verso Cadice, da dove si imbarcano alla volta del ParaguayDopo che il viaggio è stato occupato dal racconto della vecchia su tutte le violenze ed i soprusi che ha sofferto nella sua vita (tanto che Candido inizia a nutrire qualche dubbio sugli insegnamenti del maestro Pangloss), i guai non sono finiti: Cunegonda infatti diventa l’amante del governatore di Buenos Aires, ma Candido deve fuggire nuovamente per evitare nuove persecuzioni a causa dell’omicidio del gran Inquisitore. Il giovane scappa con un fedele meticcio spagnolo, Cacambo, e incontra il baronetto, fratello di Cunegonda, anch’egli miracolosamente sfuggito al massacro degli abitanti del castello. Appreso che il protagonista, di rango sociale inferiore, vuole sposare sua sorella Cunegonda, il baronetto si oppone per non compromettere il prestigio di famiglia; nel litigio che ne nasce, Candido lo uccide. Travestitisi da gesuiti, Candido e Cacambo vengono rapiti da una tribù di cannibali in guerra contro l’ordine religioso, ma riescono a salvarsi all’ultimo momento. I due giungono così alla mitica città di Eldorado, regno della felicità sulla Terra: qui infatti non esistono il denaro (l’oro scorre a fiumi al punto che i suoi abitanti non lo tengono per nulla in considerazione), la religione, il potere e le guerre. Candido e Cacambo, tuttavia, abbandonano questo paradiso terrestre per riscattare, con tutto l’oro che hanno accumulato, la mano di Cunegonda. Dopo aver ascoltato da un uomo di colore mutilato una 
storia sullo schiavismo nelle colonie (che permette agli europei benestanti di vivere tra le ricchezze), Candido incarica Cacambo di recuperare Cunegonda, ma è derubato dei suoi beni. Parte dunque per Venezia con Martino, un filosofo manicheo pessimista e dalla vita assai sfortunata, che rappresenta l’antitesi di Pangloss. Dopo aver visitato Parigi, dove cade ammalato e viene derubato da un abate, e l’Inghilterra, che lasciano in lui la sconsolata testimonianza dei numerosi vizi umani (il fanatismo, il gioco, la stupidità), Candido si reca a Venezia per incontrare Cacambo e Cunegonda, ma non trova nessuno. Martino lo convince dell’infedeltà di un servitore a cui vengono affidate grandi ricchezze e Candido, più conosce gli uomini (anche di rango sociale elevato), più si convince del fatto che la felicità perfetta non esisteCandido incontra nuovamente Cacambo, ridotto a schiavitù, e s’imbarca con lui e Martino per Costantinopoli per sposare Cunegonda, che è tenuta prigioniera a Costantinopoli e sebbene questa, come gli confessa Cacambo, abbia perso in bellezza e personalità. Sulla nave incontrano Pangloss, scampato alla morte ma divenuto schiavo rematore, e lo liberano assieme a Cunegonda, pagandola a caro prezzo al suo padrone. A Costantinopoli si riuniscono così tutti i personaggi del romanzo; Candido, disilluso ma non sconfitto, si ritira con loro in una fattoria, dove, anziché filosofare, può dedicarsi al lavoro nel suo “orto”. 
La narrazione quindi si conclude con la frase "Il faut cultiver notre jardin", si deve coltivare il proprio giardino, che possiamo metaforicamente assumere come prendersi cura di sé, dell'anima... 

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