domenica 15 ottobre 2017

Il dialogo educativo

Ruoli e funzioni nel dialogo educativo

Per capire meglio il dialogo educativo, introduciamo due termini della sociologia: status e ruolo. Il primo indica la posizione che una persona occupa nella società; il secondo il comportamento di chi occupa quella posizione. È immediato assegnare ai membri della relazione educativa gli status di insegnante e di allievo.
Il concetto di status implica una subalternità gerarchica, cioè un rapporto tra un superiore (docente) e un inferiore (allievo). La pedagogia moderna, però, insistendo sul tema della reciprocità, pone maggiormente l’accento sul concetto di ruolo – e quindi sulla divisione di ruoli tra docente e allievi – piuttosto che su quello di status. L’autorità dell’insegnante, basata sulle competenze “tecniche”,
non sarebbe così separata dalla sua “umanità”. Sebbene, sul piano istituzionale, la scuola preveda una di erenziazione di status, e l’allievo stesso si aspetti dall’insegnante un comportamento consono allo status che riveste, tuttavia allo status che attribuisce un potere (di controllo, di valutazione, di punizione) si sostituisce oggi uno status che proviene dall’indicare una direzione: l’insegnante
è una guida (o un “facilitatore”) in vista della realizzazione di un compito collettivo.

Il dialogo socratico

La prima forma di dialogo educativo di cui abbiamo conoscenza è il dialogo socratico, che prende il nome dal losofo ateniese Socrate. Atene nel V secolo a.C. era la più vivace città della Grecia, retta
da un governo democratico (ma aperto ai soli cittadini maschi adulti ateniesi). Per partecipare alla vita politica democratica era necessario possedere una buona formazione generale e abilità nelle arti del discorso, in modo da avere la meglio nel confronto politico con gli avversari. Ad insegnare l’arte del discorso erano i so sti, i primi maestri a pagamento della storia, che insegnavano la retorica (l’arte dei lunghi discorsi che puntavano alla persuasione), e la dialettica (l’arte delle serrate argomentazioni logi-che con le quali smontare le tesi degli avversari in un faccia a faccia con l’interlocutore). In quest’arte in particolare diventò maestro Socrate, che non era un sofista, ma un uomo animato da un forte desiderio di conoscere la verità. Attraverso il dialogo, il filosofo greco induceva gli interlocutori a rigettare le false credenze cui erano legati, comprendendone la debolezza o la falsità. In questo modo il maestro spianava la strada alla ricerca della verità e insegnava ad affrontare in modo critico le proprie opinioni. Socrate coinvolgeva il suo interlocutore con continue domande, procedendo per piccoli passi, in modo che quest’ultimo avesse il tempo di comprendere quanto diceva Socrate e approvarlo o ri utarlo.
Il dialogo socratico, dunque, presenta molte somiglianze con l’attuale “dialogo educativo” che prevede un’attiva partecipazione dell’allievo, vero artefice della costruzione del proprio sapere.


La comunicazione nell'attività educativa

La comunicazione nell’attività educativa

Le teorie considerate nella lezione precedente ci consentono di de nire i tratti essenziali dell’attività educativa a scuola, che si presenta come uno scambio comunicativo attraverso un dialogo.
La comunicazione educativa è innanzitutto una trasmissione di informazioni tra un mittente (l’insegnante) e un ricevente (l’allievo). Data la natura didattica di questa comunicazione, però, il messaggio deve essere trasmesso in modo ed efficace, tenendo conto che la comunicazione non è un processo unidirezionale, ma segue una dinamica circolare nella quale mittente e ricevente si scambiano i ruoli: lo studente (ricevente) che ascolta l’insegnante (mittente) reagisce con
domande, cenni del capo, espressioni del viso e diventa a sua volta mittente di un messaggio che il docente riceve.
Per questa ragione, l’allievo non è un recettore passivo di informazioni e la comunicazione educativa non può essere una semplice forma di trasmissione di informazioni, nella quale chi emette un messaggio si disinteressa di chi lo riceve:
deve essere invece un vero dialogo basato sulla partecipazione attiva di entrambi gli interlocutori (insegnante e allievo), che si preoccupano l’uno delle reazioni dell’altro (feed back).
Per evitare che la comunicazione sia disturbata, ossia che il messaggio originario venga alterato nella percezione del destinatario, è opportuna la metacomunicazione esplicita: il ricevente dichiara di aver ricevuto e compreso il messaggio permettendone, se necessario, una riformulazione. Nell’attività educativa è l’insegnante a sollecitare la metacomunicazione, usando per esempio una delle funzioni del linguaggio analizzate da Roman Jakobson, la funzione metalinguistica, che consiste nel verifcare se il codice adottato viene inteso correttamente dal ricevente (la caratteristica domanda: “capisci?”).
È particolarmente importante che l’insegnante o educatore, in quanto adulto “facilitatore” del processo di insegnamento-apprendimento verifchi (e spinga l’allievo a verifcare) le modalità e l’efficacia della propria comunicazione.

Principali teorie educative: la teoria sistemica

La teoria sistemica

La psicologia sistemica analizza la relazione educativa partendo da due presupposti (tipici dell’approccio sistemico o pragmatico-relazionale): tutto è comunicazione e il mondo psichico è un sistema, ossia una totalità nella quale il mutamento di una parte infuenza tutte le altre. Secondo
Paul Watzlawick (1921-2007), uno dei più noti esponenti dell’approccio sistemico, per spiegare un singolo fenomeno occorre prendere in considerazione tutto il suo contesto. Ciò signifca che, per
esempio, l’improvviso insuccesso scolastico di un ragazzo potrà essere spiegato esaminando il contesto o i contesti di vita del ragazzo (la famiglia, la classe, il gruppo di amici...)
Quali sono le indicazioni che la teoria sistemica fornisce all’educatore?
• L’educatore, nel contesto della classe, deve favorire la riorganizzazione interna ogni volta che un nuovo elemento turba l’equilibrio precedente.
• Nel gruppo egli deve individuare le persone-chiave, il cui mutamento di atteggiamento rende possibile il mutamento collettivo, e individuare gli aspetti aperti al mutamento sia per l’intero gruppo sia per il singolo allievo – senza minacciare l’identità più profonda.
• Tiene sotto controllo l’ansia o stimola l’attenzione quando si presenta un problema o viene assegnato un compito: un’ansia eccessiva, infatti, può spingere alla fuga di fronte al compito da a rontare, mentre un livello troppo basso di ansia determina una bassa motivazione. Ogni volta che un problema viene risolto, si crea un nuovo tipo di stabilità dinamica, una nuova organizzazione
cognitiva, una diminuzione dell’ansia e un’accresciuta autostima.
Sulla base di queste considerazioni l’approccio sistemico sottolinea come le abilità relazionali dell’educatore siano strutture interazionali, perché l’educatore deve essere capace di interagire nel modo opportuno sia con il singolo sia con il gruppo. Inoltre deve controllare il circolo comunicativo che si stabilisce e orientarlo in una direzione comune afnché tutti comunichino tra loro. Parliamo di
“circolo comunicativo” perché la comunicazione non è unidirezionale, ma chi ascolta, reagisce (con domande, commenti, espressioni del viso...), condizionando chi sta parlando.

Bateson

An ecology of mind - documentario sul pensiero di Bateson (sottotitoli italiani)
https://www.youtube.com/watch?v=XLuADL0ssnc

Watzlawick

Intervista a Paul Watzlawick (in italiano - Rai)
https://www.youtube.com/watch?v=0CTVhJ2sLXY

Empatia e metacognizione

L'empatia al centro del dialogo terapeutico ed educativo di impianto umanista trova un'integrazione nel modello sistemico nella metacognizione.
Potremmo dire che ove l'empatia implica una consapevolezza emotiva, la metacognizione indica una consapevolezza cognitiva.

Empatia
L’empatia è la capacità di comprendere a pieno lo stato d'animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di dolore. Empatia significa "sentire dentro", ad esempio "mettersi nei panni dell'altro", ed è una capacità che fa parte dell'esperienza umana ed animale.

Link:
La civiltà dell'empatia
http://www.filosofia.rai.it/articoli/jeremy-rifkin-la-civilt%C3%A0-dellempatia/13643/default.aspx

Neuroni specchio, le cellule dell'empatia
http://www.raiscuola.rai.it/articoli/nautilus-neuroni-specchio-le-cellule-dellempatia/25200/default.aspx

Terza rivoluzione industriale ed empatia
http://www.raiscuola.rai.it/articoli/jeremy-rifkin-terza-rivoluzione-industriale-ed-empatia/13642/default.aspx

Metacognizione
La metacognizione indica un tipo di autoriflessività sul fenomeno cognitivo, attuabile grazie alla possibilità - molto probabilmente peculiare della specie umana - di distanziarsi, auto-osservare e riflettere sui propri stati mentali. L'attività metacognitiva ci permette, tra l'altro, di controllare i nostri pensieri, e quindi anche di conoscere e dirigere i nostri processi di apprendimento.

Link:
Teoria della mente
https://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_della_mente



La visione sistemica della vita 
Intervista a Fritjof Capra, fisico e studioso della teoria dei sistemi e fondatore del Centro per l’alfabetizzazione ecologica a Berkeley in California.
Dal primo libro, Il Tao della Fisica del 1975, Capra pone al centro della sua ricerca il passaggio dalla visione del mondo meccanicista e riduzionista ad una visione sistemica ed ecologica.
Fritjof Capra, intervistato al Maxxi di Roma in occasione della presentazione del volume, scritto insieme al chimico Pier Luigi Luisi, Vita e natura: una visione sistemica, parla dell’importanza dell’educazione ecologica per una crescita sostenibile.
Quello che oggi comunemente chiamiamo crescita, afferma Capra, è più che altro spreco e l’economia è attualmente un’economia dello spreco e della distruzione, da sostituire non con un’innaturale decrescita, ma con una crescita qualitativa, diretta a migliorare la qualità della vita. A questo scopo occorre una nuova politica ecologica che metta la vita al centro dei suoi obiettivi.







Principali teorie educative: la teoria umanista

La teoria umanista

Mentre la psicoanalisi, si concentra sulle motivazioni profonde dei comportamenti di alunni e docenti, la psicologia umanistica prende in esame il comportamento del docente e i suoi effetti sull’alunno.
Il principale esponente di questa corrente della psicologia, Carl Rogers (1902-1987), ha elaborato una forma di psicoterapia basata sul rapporto di parità tra terapeuta e paziente. Ispirandosi a questo approccio, un insegnamento, per risultare efficace e significativo, deve essere flessibile e
spostare il suo interesse dai contenuti al protagonista della relazione educativa: l’alunno.
Una pratica didattica ispirata alla teoria umanista, secondo Rogers, richiede tre atteggiamenti-chiave:
• autenticità o congruenza;
• considerazione positiva incondizionata;
• comprensione empatica.
Questi atteggiamenti sono in stretto rapporto tra loro: l’educatore deve porsi dal punto di vista dell’allievo (empatia), senza formulare giudizi perentori o imporre cambiamenti di comportamento (considerazione positiva incondizinata) per indurre l’allievo a conoscere se stesso e a stabilire una continuità (congruenza) tra l’immagine di sé e le proprie esperienze, divenendo più autentico
e genuino. La considerazione positiva incondizionata riguarda ovviamente la “persona” dell’allievo, mentre i singoli comportamenti possono essere sanzionati negativamente.
Questa impostazione risponde all’esigenza di preparare l’alunno a una società che cambia rapidamente, nella quale le conoscenze apprese a scuola rischiano di diventare desuete in breve tempo. Per questo la scuola, sostiene Rogers, deve “creare individui aperti alle novità e alle trasformazioni”. L’educatore deve insegnare a imparare, cioè fornire gli strumenti metodologici necessari per usare consapevolmente le conoscenze. L’allievo dovrà poi essere in grado di valutare
da solo (autovalutazione) l’apprendimento avvenuto e quindi provare soddisfazione per i risultati ottenuti: questo coinvolgimento sarà indispensabile per il successo scolastico. La relazione educativa ha quindi il compito di favorire la metacognizione, ossia l’autovalutazione dei risultati conseguiti.


Maslow


Motivazione e Bisogno
La motivazione può essere definita come l'insieme dei fattori che stanno alla base del comportamento (agire) di una persona per il raggiungimento di uno scopo.
La motivazione dipende principalmente da due elementi:

  • le competenze:ciò che l'individuo è in grado di fare;
  • i valori personali: ciò che l'individuo vuole fare.
La spinta motivazionale inizia ogni volta che l'individuo avverte un bisogno. Quest'ultimo è la percezione di uno squilibrio tra la situazione attuale e una situazione desiderata. Il bisogno è quindi uno stato di insoddisfazione che spinge l’uomo a procurarsi i mezzi necessari (beni) per porvi fine o limitarlo.

La piramide dei bisogni di Maslow
Nel 1954 lo psicologo Abraham Maslow propose un modello motivazionale dello sviluppo umano basato su una “gerarchia di bisogni”, cioè una serie di “bisogni” disposti gerarchicamente in base alla quale la soddisfazione dei bisogni più elementari è la condizione per fare emergere i bisogni di ordine superiore.
Alla base della piramide ci sono i bisogni essenziali alla sopravvivenza mentre salendo verso il vertice si incontrano i bisogni più immateriali.




Partendo dalla base della Piramide Motivazionale (o dei Bisogni) ci sono:
  • i bisogni FISIOLOGICI: fame, sete, sonno, termoregolazione, ecc. Sono i bisogni connessi alla sopravvivenza fisica dell'individuo. Sono i primi a dover essere soddisfatti a causa dell'istinto di autoconservazione;
  • i bisogni di SICUREZZA: protezione, tranquillità, prevedibilità, soppressione preoccupazioni e ansie, ecc. Devono garantire all'individuo protezione e tranquillità;
  • i bisogni di APPARTENENZA: essere amato e amare, far parte di un gruppo, cooperare, partecipare, ecc.; Questa categoria rappresenta l'aspirazione di ognuno di noi a essere un elemento della comunità;
  • i bisogni di STIMA: essere rispettato, approvato, riconosciuto, ecc. L'individuo vuole sentirsi competente e produttivo;
  • i bisogni di AUTOREALIZZAZIONE: realizzare la propria identità in base ad aspettative e potenzialità, occupare un ruolo sociale, ecc. Si tratta dell'aspirazione individuale a essere ciò che si vuole essere sfruttando le nostre facoltà mentali e fisiche.
Mentre i bisogni fondamentali, una volta soddisfatti tendono a non ripresentarsi, i bisogni sociali e relazionali tendono a rinascere con nuovi e più ambiziosi obiettivi da raggiungere.
Ne consegue che l’insoddisfazione, sia sul lavoro, sia nella vita pubblica e privata, è un fenomeno molto diffuso che può trovare una sua causa nella mancata realizzazione delle proprie potenzialità. Per Maslow, infatti, l’autorealizzazione richiede una serie di caratteristiche di personalità, competenze sociali e capacità tecniche.


Incontro con Abraham Maslow 
https://www.youtube.com/watch?v=9FEwsKcPsKs

Rogers




Rogers in classe: verso una scuola centrata sulla persona

La terapia di Carl Rogers 
https://www.youtube.com/watch?v=DbFAYsO0OCM
Carl Rogers e la terapia non direttiva
https://www.youtube.com/watch?v=xq8-SRy5Jjg

lunedì 2 ottobre 2017

Principali teorie educative: la teoria psicanalitica

La teoria psicoanalitica



Anna e Sigmund Freud

Psicanalisi. Corrente scienti ca fondata da Sigmund Freud all’inizio del Novecento, secondo la quale molti comportamenti sono originati da dinamiche inconsce. L’inconscio, che è la parte sommersa e più ampia della nostra psiche, dove risiedono le pulsioni originarie (amore e odio) e dove vengono rimossi gli eventi spiacevoli, emerge nei sintomi nevrotici (come i tic nervosi) e, in condizioni normali, nei sogni, nelle libere associazioni, nei lapsus, nelle amnesie e nei motti di spirito.

Secondo la psicoanalisi la classe è il campo di un incontro/scontro di forze inconsce, che emergono attraverso una grande varietà di sintomi: esplosioni di collera, forme di mutismo, insuccessi scolastici ecc., eventi che possono sconcertare e sembrare privi di ragioni (e che suscitano commenti tipici, come “Non me lo aspettavo!”; “Proprio quel ragazzo che è sempre così tranquillo” ecc.).
La psicoanalisi invita a interpretare tali sintomi e a ricercare le cause profonde che ne sonoall’origine, senza trascurare la storia personale di un bambino o di un adolescente. 
La psicoanalisi aiuta a chiarire la ricchezza della relazione educativa. Per esem-
pio, mette in luce i fenomeni di transfert (tipici della relazione terapeutica), con i quali, a scuola, i ragazzi proiettano sull’insegnante le dinamiche del rapporto con i loro genitori: per un adolescente, la riuscita scolastica può essere un mezzo di rivincita sul padre; un altro, invece, può provocare l’insegnante per mettere alla prova se stesso e dare sfogo alle proprie pulsioni.
Nella scuola, come in molti ambiti della vita quotidiana, è possibile che si manifestino fenomeni di proiezione: quando qualcosa, all’interno della nostra psiche, è avvertito come pericoloso, viene inconsapevolmente proiettato all’esterno. 
Per esempio, un ragazzo che teme di essere timido, può proiettare questo suo timore su un compagno di classe, che tratterà in modo sgarbato e scorretto. 
Ogni ragazzo, inoltre, ha un’immagine di sé, ossia una certa considerazione di se stesso: a seconda dei casi si vedrà come una persona simpatica, banale, solitaria ecc., un giudizio che può essere o no condiviso dagli altri (è l’immagine che gli altri hanno di lui). L’immagine di sé si costruisce attraverso un lungo percorso, a partire dal rapporto con la madre e con altre fgure di riferimento. In ogni relazione incide profondamente sul modo di comportarsi.
La psicanalisi ofre all’insegnante strumenti utili per capire non solo gli studenti, ma anche se stesso. Gli atteggiamenti di un insegnante, per esempio, sono riconducibili a con itti infantili con i genitori o con fgure educative particolarmente autoritarie o prive di fermezza. Secondo la psicoanalisi, dunque, nel rapporto con gli allievi, un insegnante è spinto a rivivere la propria infanzia. 
Lungi dall’essere un elemento di debolezza, questo fenomeno, se adeguatamente compreso, fornisce al docente una chiave per meglio capire i comportamenti degli allievi. Controllando le proprie emozioni (condizione defnita “maturità emotiva”), il maestro può rispondere adeguatamente ai comportamenti inconsci del bambino e dell’adolescente e aiutarlo a risolvere le difcoltà eventualmente incontrate. 



domenica 1 ottobre 2017

Introduzione alle teorie educative, Emile e Candide


L'influenza degli altri

Relazione educativa: il rapporto che si crea all’interno del processo formativo tra docenti e allievi e che infuenza il rapporto tra gli studenti all’interno del gruppo-classe (e ne è a sua volta infuenzato).

Interazione sociale occasionale: incontrarsi in un parco, alla fermata di un bus...

Interazione sociale stabile: un contesto che diviene abitudinario, quotidiano, in base ad accordo o scelta, gusto, condivisione di valori... un esempio è la scuola

Relazioni sociali: in ogni relazione, anche quella educativa, siamo investiti da aspettative, attese, richieste che condizionano il nostro comportamento. La società sia nella relazione sociale sia nella comunicazione sociale (che si sviluppa attraverso i mass media)

Comunicazione verbale e non verbale: può svilupparsi in forme confittuali o collaborative; è costituita da componenti esplicite e componenti inconsapevoli; si radica in un contesto dal quale è infuenzata e che a sua volta infuenza

L'Emile di Rousseau e il Candide di Voltaire



Il flosofo e pedagogista Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) ha sostenuto che l’educazione deve essere fnalizzata a rimuovere i condizionamenti sociali per permettere uno sviluppo libero e spontaneo del bambino (posizione nota come puerocentrismo).
Secondo Rousseau, infatti, la società è una realtà degradata che trascina con sé gli individui, corrompendone la natura, che è invece buona. Per rigenerare l’uomo, è necessario percorrere due strade: la profonda modifcazione delle istituzioni (che è il tema del Contratto sociale) e una nuova forma di educazione. Questo secondo aspetto è espresso nell’opera intitolata Emilio o dell’educazione (1762). Rousseau immagina un’educazione nella quale il bambino non riceve condizionamenti o stimoli da parte del maestro, ma cresce sperimentando in quasi totale autonomia. A questo scopo l’ambiente circostante non deve imporre alcun condizionamento. Rousseau suggerisce quindi un ambiente neutro o la campagna, mentre sconsiglia la città.
Emilio, il protagonista del libro, non frequenta una scuola istituzionale e non segue ritmi e tempi 
imposti dall’esterno, ma segue i propri tempi naturali di maturazione. La fgura del maestro non 
scompare, ma il ruolo che svolge nell’educazione di Emilio è quello di suggeritore, creando le occasioni perché l’allievo scopra da solo le verità naturali e morali. L’educazione di Emilio non contempla né divieti né lezioni pedanti. È l’esperienza, invece, a svolgere un ruolo fondamentale. Rousseau, inoltre, descrive quattro fasi dell’educazione, che dipendono dall’età del fanciullo e dallo sviluppo delle sue facoltà. In questo modo non sarà l’allievo ad adattarsi all’educazione, ma sarà l’educazione a essere commisurata alla crescita dell’allievo.



François-Marie Arouet, meglio noto come Voltaire (1694-1778), scrive una delle sue opere più note, il Candide, o dell’ottimismo, nel 1759; la circostanza storica determinante è il devastante terremoto di Lisbona del 1 novembre 1755. Nel Candido, con acuta ironia, Voltaire riblata le teorie ottimistiche di stampo metafisico sulla vita umana. Il Candide, a metà strada tra un racconto filosofico e un romanzo di viaggio e di formazione, vuole appunto criticare, secondo i principi della ragione illuministica, la massima ottimistica per cui “tutto è bene”. Candido è un giovane piuttosto ingenuo e buono di cuore che vive in Vestfalia nel castello del barone Thunder-Ten Tronckht; il ragazzo compie i suoi studi con la bella figlia del barone, Cunegonda, sotto le cure del precettore Pangloss, (dal greco pan, “tutto” e glossa, “lingua”) che insegna ai due giovani la dottrina per cui tutte le cose del mondo reale vanno “nel migliore dei modi nel migliore dei mondi possibili”
Mentre Candido nutre un amore puramente platonico per Cunegonda, la ragazza prende l’iniziativa baciando il protagonista dietro un paravento, dopo aver visto Pangloss intrattenersi con una serva del castello dietro un cespuglio. Sfortunatamente, il barone scopre i due giovani e, accusando Candido d’aver sedotto sua figlia, lo caccia in malo modo dalle sue proprietà. Il giovane inizia dunque a peregrinare per il mondo: è prima arruolato a forza nell’esercito di Federico II di Prussia (1712-1786) e poi coinvolto nella guerra tra Bulgari e Avari (dietro cui Voltaire allude alle guerre tra Prussia e Francia). Il castello del barone viene raso al suolo, e la bella Cunegonda è data per morta. Candido fugge in Olanda, ospitato da un medico anabattista buono e tollerante; qui ritrova Pangloss, sfigurato dalla sifilide, con il quale si imbarca per Lisbona. La nave fa tuttavia naufragio (in cui l’anabattista muore). A Lisbona, dopo il drammatico terremoto, scende i campo la Santa Inquisizione, alla ricerca di alcuni capri espiatori per la tragedia appena verificatasi: Pangloss viene condannato all’impiccagione, mentre Candido è torturato con la fustigazione. Il giovane viene però salvato provvidenzialmente da una vecchia, che in realtà agisce per conto di Cunegonda; la ragazza infatti è ancora viva e si trova a Lisbona contesa tra un ebreo, don Issacar, e il gran Inquisitore. Dopo che Candido ha ucciso i due rivali, i protagonisti e la vecchia fuggono verso Cadice, da dove si imbarcano alla volta del ParaguayDopo che il viaggio è stato occupato dal racconto della vecchia su tutte le violenze ed i soprusi che ha sofferto nella sua vita (tanto che Candido inizia a nutrire qualche dubbio sugli insegnamenti del maestro Pangloss), i guai non sono finiti: Cunegonda infatti diventa l’amante del governatore di Buenos Aires, ma Candido deve fuggire nuovamente per evitare nuove persecuzioni a causa dell’omicidio del gran Inquisitore. Il giovane scappa con un fedele meticcio spagnolo, Cacambo, e incontra il baronetto, fratello di Cunegonda, anch’egli miracolosamente sfuggito al massacro degli abitanti del castello. Appreso che il protagonista, di rango sociale inferiore, vuole sposare sua sorella Cunegonda, il baronetto si oppone per non compromettere il prestigio di famiglia; nel litigio che ne nasce, Candido lo uccide. Travestitisi da gesuiti, Candido e Cacambo vengono rapiti da una tribù di cannibali in guerra contro l’ordine religioso, ma riescono a salvarsi all’ultimo momento. I due giungono così alla mitica città di Eldorado, regno della felicità sulla Terra: qui infatti non esistono il denaro (l’oro scorre a fiumi al punto che i suoi abitanti non lo tengono per nulla in considerazione), la religione, il potere e le guerre. Candido e Cacambo, tuttavia, abbandonano questo paradiso terrestre per riscattare, con tutto l’oro che hanno accumulato, la mano di Cunegonda. Dopo aver ascoltato da un uomo di colore mutilato una 
storia sullo schiavismo nelle colonie (che permette agli europei benestanti di vivere tra le ricchezze), Candido incarica Cacambo di recuperare Cunegonda, ma è derubato dei suoi beni. Parte dunque per Venezia con Martino, un filosofo manicheo pessimista e dalla vita assai sfortunata, che rappresenta l’antitesi di Pangloss. Dopo aver visitato Parigi, dove cade ammalato e viene derubato da un abate, e l’Inghilterra, che lasciano in lui la sconsolata testimonianza dei numerosi vizi umani (il fanatismo, il gioco, la stupidità), Candido si reca a Venezia per incontrare Cacambo e Cunegonda, ma non trova nessuno. Martino lo convince dell’infedeltà di un servitore a cui vengono affidate grandi ricchezze e Candido, più conosce gli uomini (anche di rango sociale elevato), più si convince del fatto che la felicità perfetta non esisteCandido incontra nuovamente Cacambo, ridotto a schiavitù, e s’imbarca con lui e Martino per Costantinopoli per sposare Cunegonda, che è tenuta prigioniera a Costantinopoli e sebbene questa, come gli confessa Cacambo, abbia perso in bellezza e personalità. Sulla nave incontrano Pangloss, scampato alla morte ma divenuto schiavo rematore, e lo liberano assieme a Cunegonda, pagandola a caro prezzo al suo padrone. A Costantinopoli si riuniscono così tutti i personaggi del romanzo; Candido, disilluso ma non sconfitto, si ritira con loro in una fattoria, dove, anziché filosofare, può dedicarsi al lavoro nel suo “orto”. 
La narrazione quindi si conclude con la frase "Il faut cultiver notre jardin", si deve coltivare il proprio giardino, che possiamo metaforicamente assumere come prendersi cura di sé, dell'anima... 

sabato 30 settembre 2017

Insegnante e gruppo classe

L’insegnante e il gruppo classe

Il dialogo educativo tra l’insegnante e l’allievo è condizionato da molti fattori.
Innanzitutto l’immagine che l’allievo ha elaborato dell’insegnante (severo, accondiscendente, umorale ecc.) incide sul suo comportamento. Ma soprattutto questa relazione non è isolata,
ma calata nel contesto della classe. Un ragazzo, infatti, è molto sensibile al giudizio del gruppo dei pari, in questo caso il gruppo classe, al punto da modifcare i propri comportamenti sulla
base di tale opinione. A seconda di come sia complessivamente valutato (dotato, normale, deviante), uno studente fnisce per avere un ruolo diverso all’interno del gruppo classe. Lo psicologo francese Marcel Postic (Rouen, 1930), basandosi su numerosi studi, rileva che il gruppo classe è caratterizzato da:
• un gruppo di bambini o adolescenti;
• un solo adulto (l’insegnante);
• rapporti costanti;
• presenza obbligatoria e fnalizzata a uno scopo (istruirsi);
• ambiente funzionale e attrezzato (la classe).
Così come il rapporto tra insegnante e alunno è infuenzato dal contesto della classe, anche i rapporti all’interno del gruppo classe sono infuenzati da fattori esterni: l’ambiente di provenienza di ciascuno studente, l’estrazione sociale, la disponibilità economica ecc., tutti fattori che possono determinare la formazione di sottogruppi.
La classe, quindi, risponde alle regole formali che vigono nella scuola (gli orari, gli spazi, l’esistenza di una gerarchia, gli obblighi imposti dalle attività didattiche); ma è animata anche da comportamenti spontanei e informali, più o meno coerenti con quelli formalmente previsti.
Perciò le dinamiche interne alla classe possono favorire l’attività didattica o ostacolarla: esse potrebbero persino, in qualche misura, estromettere l’insegnante. Ogni allievo infatti è “sballottato” tra l’infuenza degli insegnanti e quella dei coetanei.
Da queste considerazioni il sociologo statunitense Talcott Parsons (1902-1979) ha tratto la conclusione che esistono due tipi di gruppo classe: il gruppo che accetta le regole del gioco e quindi persegue il prestigio derivante dal successo scolastico e il gruppo che sviluppa un orientamento egocentrico centrato sul comportamento dei coetanei.
Oggi si ritiene che la situazione sia più complessa e che l’allievo subisca varie infuenze: alcune sono tra loro incompatibili e generano un con itto di ruoli che si traduce in un comportamento ambivalente. Da un lato, infatti, un allievo vorrebbe rispondere alle richieste di insegnanti e genitori, nonché a un proprio senso del dovere o al proprio desiderio di gratifcazione, eseguendo il “compito” scolastico; dall’altro però il codice comportamentale del gruppo dei pari gli impone di trasgredire le regole scolastiche. Per questa ragione il ragazzo può impegnarsi in modo discontinuo nello studio, a seconda della pressione che prevale in quel momento.
Il dialogo educativo dipende da fattori esterni, ma anche dal modo in cui l’insegnante vive il proprio ruolo. Secondo lo psicologo tedesco Kurt Lewin (1890-1947) esistono tre tipologie di stili relazionali (tipici tanto degli insegnanti quanto dei genitori):
• guida dominante, che decide tutto e lascia poco spazio al bambino; questo stile ha il vantaggio di ottenere nell’immediato l’esecuzione di compiti, ma inibisce autonomia e spontaneità;
• guida antiautoritaria (lassista), che rinuncia al controllo puntando sull’autonomia del bambino, ma privandolo di punti di riferimento;
• guida autorevole (democratica), che prende le decisioni insieme agli allievi, rendendoli autonomi e responsabili e restando un loro punto di riferimento.